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Intervista ad Andrea Ferrari: “La politica fiscale sia coraggiosa, non viviamo senza imprese”. Mysolution

Andrea Ferrari, Presidente dell’AIDC, in un’intervista a MySolution

 

Andrea Ferrari spiega perché il futuro della professione è legato alla buona salute delle imprese: “Sopravviviamo solo se l’impresa prospera” e per far rinascere negli italiani la voglia di mettersi in gioco è necessario uno choc fiscale. La ricetta: non tassare gli incrementi di fatturato a partire da un anno X. Ne beneficerebbero tutti, dalle società che potrebbero spingere per svilupparsi, allo Stato che potrebbe contare su una quota fissa di gettito, oltre che beneficiare dell’aumento dei consumi. “Ci vogliono misure concrete, mirate e, se vogliamo, draconiane. Bisogna agire con coraggio”. Ma soprattutto bisogna fare in fretta, con una visione chiara senza delegare i burocrati.

 Quello che frena una sana ripresa dell’economia italiana è la mancanza di visione, eppure se solo si avesse un po’ più di coraggio alcune idee facili-facili potrebbero spingere la crescita oltre lo stagnante zero-virgola. Andrea Ferrari, presidente dell’AIDC, mette nero su bianco le “poche righe” che basterebbero a risollevare gli investimenti nel Paese e chiede con tono non troppo provocatorio di “non tassare il reddito incrementale di imprese e professionisti rispetto, diciamo, al reddito del 2016”. La ricetta sembra essere semplice e, come spiega in un colloquio con MySolution, avrebbe benefici tanto per i conti dei privati quanto per i bilanci pubblici: le imprese sarebbero “incentivate allo sviluppo, perché con più guadagni ci sarebbero meno tasse”, e l’erario avrebbe di che sorridere potendo contare come minimo sullo stesso gettito dell’anno X beandosi al contempo della ripresa dei consumi.

Una scommessa win-win che servirebbe a far ritornare quella voglia di mettersi in gioco che negli ultimi anni, come d’incanto, nell’Italia del fare è un po’ sparita: “Sempre meno persone bussano alla porta dei commercialisti perché è passata la voglia di fare impresa, soprattutto nelle nuove generazioni”, racconta con un po’ di rammarico Andrea Ferrari. Chi è rimasto travolto dagli eventi finanziari degli ultimi anni chiede in maniera più pressante un cambio di passo, ma niente sembra mutare e lo choc fiscale invocato resta un miraggio: “La distanza tra politica e mondo reale diventa sempre maggiore” e il fisco non perde occasione per confermarsi più “caotico e confuso”. Ormai, sottolinea Ferrari, “all’enorme pressione fiscale non corrispondono servizi per cittadini e imprese di pari valore”, per questo bisogna saper invertire la rotta senza fare troppa melina: “Ci vogliono misure concrete, mirate e, se vogliamo, draconiane. Bisogna agire con coraggio”.

In uno scenario nel quale tutto si tiene, del resto, il lavoro dei professionisti italiani è legato a quello di chi fa impresa: “Noi commercialisti – dice Ferrari – sopravviviamo solo se l’impresa prospera” e per questo, dare ossigeno alla professione significa “imparare a guardare oltre il proprio recinto: dobbiamo smetterla di parlare solo tra di noi e dobbiamo invece capire cosa vuole il mercato”. Chiedere norme più semplici infatti non basta, bisogna che ci siano “meno imposte” e meno adempimenti, moltiplicatisi negli ultimi tempi sotto la bandierina della lotta all’evasione fiscale: “Il rischio – spiega Ferrari – è che si faccia passare per lotta all’evasione ciò che non lo è: le sanzioni fioccano per piccoli errori materiali conseguenti al caos amministrativo”. È poi necessario guardare al fisco come un unicum, mantenendo dritta la barra tra imposte incassate e uscite faticosamente sostenute: “L’adempimento introdotto con la manovra di bilancio sulla comunicazione trimestrale delle fatture Iva – esemplifica Ferrari – genererà un incasso di 2 miliardi per lo Stato, ma il costo dell’adempimento per i professionisti sarà di 2,160 mld“. Ne vale davvero la pena?

Anche per questo il numero uno della AIDC, Andrea Ferrari, bolla come “deludenti” i primi sei mesi del 2017, anno vissuto dai commercialisti sull’ottovolante, con la rabbia prima incanalata in uno sciopero annunciato e poi sopita dall’entusiasmo per promesse mai mantenute. “La mia sigla sindacale ha sempre evidenziato una posizione autonoma rispetto alla revoca – ricorda oggi Ferrari – mentre le altre sei sigle si sono dichiarate soddisfatte, noi abbiamo sempre espresso perplessità sull’intesa raggiunta con il Ministero dell’Economia”. Ma al di là da come è andata l’organizzazione del primo storico sciopero dei commercialisti italiani, quello che impressiona Ferrari è lo scollamento tra la politica e il mondo reale: “Credo di non aver mai vissuto, anche con ministri delle Finanze famigerati, dei momenti di così grande distanza tra amministrazione finanziaria e i contribuenti”, dice con convinzione il presidente dell’AIDC. “C’è una distanza di fondo, la politica è lontana anni luce dalla realtà delle imprese e lo è per necessità, perché quello che conta è il gettito, e per mancanza di visione”.

Chi dovrebbe dettare la linea, insomma, per come la vede Ferrari non c’è e questo è un male perché alla fine della fiera significa delegare la politica fiscale a dei burocrati che possono anche essere bravi, ma mai cuor di leoni: “Sentiamo molto la mancanza di un Ministro delle Finanze – spiega Ferrari – in questi anni la Direzione dell’Agenzia delle Entrate ha fatto vere scelte politiche. Quando si impone un adempimento o una imposta, però, bisogna misurare gli effetti di riflesso sull’economia del Paese, altrimenti si rischiano degli effetti paradossali. Per questo un tecnico non può fare il politico e in questi anni la Direzione dell’Agenzia delle Entrate ha fatto scelte politiche che non le competevano”.

 

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