Una scommessa win-win che servirebbe a far ritornare quella voglia di mettersi in gioco che negli ultimi anni, come d’incanto, nell’Italia del fare è un po’ sparita: “Sempre meno persone bussano alla porta dei commercialisti perché è passata la voglia di fare impresa, soprattutto nelle nuove generazioni”, racconta con un po’ di rammarico Andrea Ferrari. Chi è rimasto travolto dagli eventi finanziari degli ultimi anni chiede in maniera più pressante un cambio di passo, ma niente sembra mutare e lo choc fiscale invocato resta un miraggio: “La distanza tra politica e mondo reale diventa sempre maggiore” e il fisco non perde occasione per confermarsi più “caotico e confuso”. Ormai, sottolinea Ferrari, “all’enorme pressione fiscale non corrispondono servizi per cittadini e imprese di pari valore”, per questo bisogna saper invertire la rotta senza fare troppa melina: “Ci vogliono misure concrete, mirate e, se vogliamo, draconiane. Bisogna agire con coraggio”.
In uno scenario nel quale tutto si tiene, del resto, il lavoro dei professionisti italiani è legato a quello di chi fa impresa: “Noi commercialisti – dice Ferrari – sopravviviamo solo se l’impresa prospera” e per questo, dare ossigeno alla professione significa “imparare a guardare oltre il proprio recinto: dobbiamo smetterla di parlare solo tra di noi e dobbiamo invece capire cosa vuole il mercato”. Chiedere norme più semplici infatti non basta, bisogna che ci siano “meno imposte” e meno adempimenti, moltiplicatisi negli ultimi tempi sotto la bandierina della lotta all’evasione fiscale: “Il rischio – spiega Ferrari – è che si faccia passare per lotta all’evasione ciò che non lo è: le sanzioni fioccano per piccoli errori materiali conseguenti al caos amministrativo”. È poi necessario guardare al fisco come un unicum, mantenendo dritta la barra tra imposte incassate e uscite faticosamente sostenute: “L’adempimento introdotto con la manovra di bilancio sulla comunicazione trimestrale delle fatture Iva – esemplifica Ferrari – genererà un incasso di 2 miliardi per lo Stato, ma il costo dell’adempimento per i professionisti sarà di 2,160 mld“. Ne vale davvero la pena?
Anche per questo il numero uno della AIDC, Andrea Ferrari, bolla come “deludenti” i primi sei mesi del 2017, anno vissuto dai commercialisti sull’ottovolante, con la rabbia prima incanalata in uno sciopero annunciato e poi sopita dall’entusiasmo per promesse mai mantenute. “La mia sigla sindacale ha sempre evidenziato una posizione autonoma rispetto alla revoca – ricorda oggi Ferrari – mentre le altre sei sigle si sono dichiarate soddisfatte, noi abbiamo sempre espresso perplessità sull’intesa raggiunta con il Ministero dell’Economia”. Ma al di là da come è andata l’organizzazione del primo storico sciopero dei commercialisti italiani, quello che impressiona Ferrari è lo scollamento tra la politica e il mondo reale: “Credo di non aver mai vissuto, anche con ministri delle Finanze famigerati, dei momenti di così grande distanza tra amministrazione finanziaria e i contribuenti”, dice con convinzione il presidente dell’AIDC. “C’è una distanza di fondo, la politica è lontana anni luce dalla realtà delle imprese e lo è per necessità, perché quello che conta è il gettito, e per mancanza di visione”.
Chi dovrebbe dettare la linea, insomma, per come la vede Ferrari non c’è e questo è un male perché alla fine della fiera significa delegare la politica fiscale a dei burocrati che possono anche essere bravi, ma mai cuor di leoni: “Sentiamo molto la mancanza di un Ministro delle Finanze – spiega Ferrari – in questi anni la Direzione dell’Agenzia delle Entrate ha fatto vere scelte politiche. Quando si impone un adempimento o una imposta, però, bisogna misurare gli effetti di riflesso sull’economia del Paese, altrimenti si rischiano degli effetti paradossali. Per questo un tecnico non può fare il politico e in questi anni la Direzione dell’Agenzia delle Entrate ha fatto scelte politiche che non le competevano”.